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CARENZE MEDICI DI MEDICINA GENERALE, LA RICERCA DEL GRUPPO CONSILIARE DEL PD VENETO: “UNA TEMPESTA PERFETTA CHE LA CATTIVA PROGRAMMAZIONE REGIONALE NON HA SAPUTO ANTICIPARE”.

Il 2023 e il 2024 saranno gli anni-record per numero di medici di medicina generale operanti sul territorio veneto che lasceranno l'attività lavorativa per andare in pensione. Un fenomeno che, guardando nel lungo periodo, porterà in meno di quindici anni ad una fuoriuscita di oltre 1.900 professionisti. Ma questa tendenza sarà adeguatamente compensata da nuovi ingressi in grado di garantire un servizio fondamentale per i cittadini?
 
Questi sono alcuni dei dati salienti dello studio commissionato dal Gruppo consiliare regionale del Partito Democratico e dedicato ai medici di medicina generale in Veneto. Un lavoro di elaborazione dati realizzato da Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron che è stato illustrato oggi nella sua prima parte in occasione di una conferenza stampa.
 
Lo scenario nel quale il Veneto si ritrovava nel pre-pandemia (anno 2019) appare nei numeri già gravoso per i medici di famiglia, visto che ognuno di loro aveva in carico una media di 1.365 pazienti. Una cifra di gran lunga superiore rispetto alla media nazionale (+141) e che collocava la nostra regione al terzo posto in classifica. Cifre di un trend cui si è aggiunta in maniera incalzante la diminuzione del numero di MMG, determinando così una situazione emergenziale nella quale decine di migliaia di cittadini veneti si ritrovano senza medico di famiglia.
 
Guardando al futuro e alle statistiche anagrafiche questa falla è destinata ad allargarsi. Tra i medici di famiglia la fascia di età dominante è infatti quella degli over 55 rappresentano il 62,8% dei 2.973 attualmente (anno 2021) in attività. Un quadro che riserva alcuni picchi territoriali: le province di Rovigo (31,1%) e Belluno (26,6%) registrano la maggiore presenza di medici di famiglia tra i 65 e 68 anni, quindi prossimi alla pensione. Si tratta di un flusso in uscita che necessita di essere sostituito in tempi rapidi e che, complessivamente a livello regionale, si attesterà dal 2023 al 2030 su una media annuale di 130 medici in quiescenza.
 
Tra le misure in grado di garantire un adeguato turn over c'è quella legata agli investimenti sul fronte della formazione dei medici di medicina generale e dunque alle borse. Ma anche in questo caso il Veneto appare in forte ritardo. Addirittura all'ultimo posto se si considera il criterio del numero di borse di formazione per ogni 1.000 abitanti. Nel periodo 2014-2021 in Veneto ne sono state infatti messe a bando 810. Facendo un raffronto, il Piemonte e l’Emilia Romagna, con circa mezzo milione di abitanti in meno del Veneto, hanno messo a bando nello stesso periodo rispettivamente 1082 e 903 borse, mentre la Toscana, con circa 1 milione e 200 mila abitanti in meno, ha messo a disposizione 97 borse più del Veneto. Questo posizionamento è frutto di una cattiva programmazione, che non ha tenuto conto di un fenomeno altamente prevedibile ed anticipabile come quello della 'gobba pensionistica' dei MMG. 
 
Considerato che, almeno fino al 2018, le Regioni ottenevano dallo Stato (per le borse e le spese organizzative) le risorse che chiedevano, il giudizio sull’errata programmazione del Veneto è ancora più macroscopico. In quegli anni, infatti, il Veneto ha chiesto molto meno borse di Regioni più piccole (per numero di abitanti). Per esempio, tra il 2014 e il 2017 la Toscana ha chiesto 316 borse, l’Emilia-Romagna 270, il Veneto solamente 175. 
 
Il giudizio dei consiglieri regionali dem, Giacomo Possamai, Vanessa Camani, Anna Maria Bigon, Francesca Zottis, Jonatan Montanariello e Andrea Zanoni, è netto: “Quando si poteva ottenere quel che si chiedeva, il Veneto non ha chiesto abbastanza. E quando la coperta è diventata corta, e si otteneva dallo Stato meno di quel che serviva, alcune Regioni hanno scelto di mettere risorse proprie. Ora siamo davanti ad una tempesta perfetta, con il rischio enorme di rottura del sistema di medicina generale entro i prossimi due-tre anni. Di fronte a questi numeri il governo veneto ha ben poco da scaricare le responsabilità altrove. La verità è che dopo il 'grande sonno' degli anni precedenti, ora neppure gli aumenti progressivi dei fondi ministeriali sono sufficienti per colmare le voragini, in termini di carenze, che si sono create nel tempo. Col risultato che i cittadini veneti si ritrovano in un sistema sanitario dove cominciano persino a fare la loro comparsa i medici di famiglia a pagamento e che dunque non può più definirsi autenticamente pubblico”.
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