Se vent’anni fa mi avessero detto che nel 2012 ci sarebbero state differenze di genere così marcate tra uomo e donna non ci avrei creduto.
Eppure è la triste verità. I dati resi pubblici in questi giorni, in occorrenza della festa della donna, non lasciano spazio a dubbi. La donna non ha ancora gli stessi diritti dell’uomo. L’8 marzo potrà anche passare, ma questi problemi restano eccome.
Prendiamo un aspetto molto importante della vita di tutti noi: il lavoro. A Bruxelles la Commissione europea ha da poco pubblicato dati allarmanti sulla condizione dell’impiego femminile. In media nei 27 Paesi Ue le donne sono pagate il 11,7% in meno per fare lo stesso lavoro degli uomini. Un’assurdità in termini. Senza considerare il fatto che in alcuni Paesi, guarda caso l’Italia, per le donne è addirittura difficile iniziarlo un lavoro. Parliamo di situazioni ai limiti della realtà, con ragazze, giovani e meno giovani, che vengono discriminate solamente per il fatto di essere “donne”. Un lavoro tutto al maschile, dove la possibilità di avere dei figli viene ancora vista come il disincentivo più alto all’assunzione e alla possibilità di fare una carriera.
Basta guardare il numero delle donne nel Consigli d’amministrazione delle grandi società, solo il 6,7 per cento in Italia, un’offesa alla dignità della parte rosa del nostro Paese, sempre più lontano dal 27 per cento della Finlandia e del 25 per cento della Svezia. Eppure le nostre donne non sono inferiori a nessuno. Ma guardando le altre statistiche italiane, la discriminazione non si limita alle grandi società. Istruzione, sanità, finanza, le donne in Italia sono sempre in secondo piano, al Sud come al Nord.
Una discriminazione che si ripercuote anche in busta paga. Si perché non solo per le donne è più difficile lavorare, ma è pressoché impossibile guadagnare la stessa cifra dei colleghi uomini. Secondo uno studio del Consiglio nazionale economia e lavoro (Cncl), le differenze possono raggiungere perfino il 18 per cento. La Commissione europea ha calcolato che mediamente una donna per guadagnare quello che guadagna un uomo in un anno, a parità di lavoro, deve lavorare fino al 2 marzo dell’anno successivo.
Si, se vent’anni fa mi avessero detto che nel 2012 sarebbe stata questa la situazione non ci avrei proprio creduto. L’Unione europea sta facendo il possibile per spingere le buone pratiche nel continente, con iniziative, sensibilizzazioni e proposte di legge. Da ultima quella della Commissaria Viviane Reding di istituire quote rosa obbligatorie in tutti i Paesi Ue. Forse si tratta dell’unico modo di garantire alle donne uguale accesso al mondo del lavoro e, anche, della politica. E’ sicuramente un peccato che questa lo si possa raggiungere con delle leggi, ma, come si dice, “a mali estremi estremi rimedi”.
In Italia purtroppo siamo ancora lontani dall’assunzione di questa mentalità, la cultura delle pari opportunità deve ancora attecchire. E questo nonostante leggi e iniziative proposte a tutti i livelli. Di sicuro l’esempio politico degli ultimi vent’anni non ha di certo aiutato.
Mi auguro che tra altri vent’anni la situazione non sia più questa, anche se preferirei che i tempi del cambiamento fossero ben più brevi.
Andrea Zanoni