Grazie ad un’indagine ambientale volta a verificare la presenza di diossine in villa Lia a Lancenigo di Villorba, effettuata pochi giorni dopo il rogo della De Longhi (avvenuto il 18 aprile 2007) e commissionata da Laura Pollini amministratore delegato di Fabrica Spa, è stata accertata l’effettiva presenza di questo composto chimico cancerogeno, in quantità superiori alla dose giornaliera tollerabile. Le analisi sui campioni prelevati a circa 5 chilometri dal rogo, effettuate dal laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche Conal di Milano, hanno accertato che sulle foglie di pero del parco di villa Lia la quantità di diossina riscontrata è di 300 picogrammi su chilogrammo che in termini di tossicità equivalente significa 1,20 picogrammi su chilogrammo, ovvero di gran lunga superiore al valore di assunzione giornaliera accettabile pari a 0,14 picogrammi su chilogrammo indicato dall’Epa (L’Agenzia per la Protezione Ambientale statunitense). Il laboratorio, coordinato dal dottor Raoul Martini, ha inoltre rilevato che da parte dell’ARPAV non è stato corretto “paragonare i dati riscontrati, relativi alle diossine, con il TLV – TWA: il parametro esprime la concentrazione massima di inquinanti aerodispersi alla quale un lavoratore può essere esposto durante un periodo di otto ore al giorno per cinque giorni settimanali. I dati ambientali non possono essere paragonati a quelli dei lavoratori esposti, molto più elevati». Le analisi fatte effettuate dalla dottoressa Pollini si aggiungono a quelle del Comitato 18 aprile che aveva fatto esaminare alcune uova da un laboratorio di analisi che aveva rilevato la presenza della diossina in quantità superiori rispetto ai limiti consentiti dalla legge. Paeseambiente, con Ass. Alisei e Grillitreviso, il 26 aprile 2007, aveva richiesto formalmente (CF. comunicato del ’04/26/07 su www.paeseambiente.org) ad ARPAV ed Usl ed altri enti di: “1) determinare l’area della provincia interessata dalla ricaduta delle sostante tossico-nocive; 2) avviare un tavolo tecnico di intervento; 3) istituire un ufficio informazioni facilmente accessibile per tutti i cittadini; 4) emanare un’ordinanza di divieto di consumo e commercio di ortaggi inquinati; 5) controllare la rimozione delle macerie per evitare l’aerodispersione di fibre altamente e gravemente cancerogene quali l’asbesto (amianto) e il percolamento di inquinanti in falda; 6) censire la popolazione oggetto di contatto con i gas tossici; 7) effettuazione di un monitoraggio completo del territorio interessato tramite prelievi ed analisi con particolare riferimento a: polveri, terreni, acque, vegetali in modo da ottenere una caratterizzazione di tutta l’area; 8) controllare le acque con particolare riferimento alle prese del Sile per la potabilizzazione dell’acqua; 9) effettuare un monitoraggio sanitario delle popolazioni esposte, con prelievi ed analisi a campione; 10) definire le procedure di risarcimento dei danni subiti dalla popolazione; 11) monitorare le aziende agricole coinvolte produttrici di verdure, a cielo aperto od in serra, destinate al quotidiano consumo umano”; il tutto, purtroppo senza ottenere riscontri di rilievo. Paeseambiente chiede nuovamente, questa volta pubblicamente, che venga caratterizzata l’area oggetto di contaminazione in termini di vastità e di concentrazioni di inquinanti, che venga attuato un piano di messa in sicurezza, che vengano bonificate tutte le aree interessate, il tutto seguendo le precise procedure previste dagli artt.239 e seguenti del decreto legislativo n.152 del 2006. Le analisi effettuate dai privati – ha commentato Andrea Zanoni, presidente di Paeseambiente – purtroppo confermano tutti i timori della popolazione interessata alle ripercussioni del rogo De Longhi e tutti i nostri sospetti. Queste analisi confermano che su frutta e verdura c’era diossina in quantità pericolose per la salute umana. Purtroppo, ARPAV e USL, forse timorose di contrastare le opinioni di certi esponenti politici locali, non hanno approfondito gli aspetti da noi indicati tesi ad evitare la commercializzazione di frutta e verdura potenzialmente contaminata. Mi chiedo quanta frutta e verdura contaminata sia arrivata sulle tavole di ignari cittadini di Treviso e comuni limitrofi. Fortunatamente, privati come la dottoressa Pollini e il comitato 18 aprile, con la loro encomiabile azione, contribuiscono a fare un po’ di luce su quello che doveva essere fatto dagli enti pubblici pagati da tutti noi contribuenti.