Dopo la requisitoria del Pubblico Ministero sul caso Miteni, è chiaro che ci troviamo di fronte a scelte criminali che hanno causato una vera e propria bomba ecologica.
Decenni di contaminazione ambientale, acqua avvelenata dai PFAS, cittadini ammalati anche in giovane età e istituzioni che, invece di intervenire subito, hanno preferito rimpallare le responsabilità.
Questa è la storia del più grande disastro ambientale italiano, una ferita ancora aperta nel nostro Veneto, un’eredità pesante di cui dovranno farsi carico le future generazioni.
Un primo segnale di giustizia è stato la richiesta di condanna del Pubblico Ministero: le pene più alte previste dal Codice penale e la confisca di mezzo milione di euro.
Se queste verranno confermate queste condanne passeranno alla storia da un punto di vista giuridica, come i tristemente precedenti di Seveso e Casale Monferrato.
Ma la battaglia non è finita: serve fare chiarezza se vi siano state responsabilità nelle Istituzioni da parte di chi poteva sapere e ha taciuto invece di proteggere i cittadini.
E mentre la giustizia fa il suo corso, la politica continua la sua latitanza: sono passati 12 anni e la bonifica dell’area è ancora ferma. Troppo spesso si dice che costi e difficoltà tecniche la rendano impraticabile, ma non possiamo accettare un semplice contenimento perpetuo dell’inquinamento.
Lo Stato, che sa intervenire con norme eccezionali quando vuole, prenda in carico la bonifica e restituisca ai cittadini un territorio libero dai veleni!
FOTO: Articolo “L’eco vicentino” del 13 febbraio 2025